Per Joaquìn Sorolla (1863-1923) la pittura era tutto. Pochi anni prima di morire lo smisurato amore che aveva nutrito per i pennelli e la tavolozza non accennava ad affievolirsi: "Sono affamato di pittura come non mai", scrisse alla moglie Clotilde, "la divoro, scoppio. E' proprio una cosa folle". E' a lui che palazzo dei Diamanti di Ferrara dedica, per la prima volta in Italia, una grande mostra che mette a fuoco soprattutto gli anni della maturità e, in particolare, le opere nate dalla fascinazione per l'Andalusia e i giardini dell'Alhambra e dell'Alcàcazar di Siviglia.
Straordinario interprete della pittura moderna in Spagna, ritrattista costosissimo e di gran moda nella Parigi della Belle Epoque come i suoi amici John Singer Sargent, Giovanni Boldini e Anders Zorn, Sorolla era nato a Valencia. Orfano a due anni di entrambi i genitori, forse a causa di un'epidemia di colera, a 22 anni vinse una borsa di studio per studiare pittura a Roma. Tornato in Spagna, si trasferì a Madrid e cominciò a esporre in mezzo mondo, a Parigi, Londra, Venezia , Monaco, Berlino, Vienna e Bilbao, poi anche in America, vincendo numerosi premi soprattutto grazie ai quadri a sfondo sociale. Quando, nel 1895, lo Stato spagnolo acquistò un suo quadro per il Prado, e quello francese ne comprò un altro per il Musée du Luxembourg, Sorolla aveva solo 32 anni. Sei anni dopo sarebbe diventato Cavaliere della Legion d'Onore.
La chiave del successo è nascosta, ma neanche tanto, nella sua pittura personalissima, realizzata sempre "en plein air" e creata combinando le invenzioni tecniche degli impressionisti con l'audacia compositiva di Velàzquez. Era una pittura allo stesso tempo sofisticata e innovativa: "da quando mi sono messo a dipingere", disse nel 1903, "il mio pensiero fisso è stato quello di distruggere ogni convenzionalismo. Fermo nel mio proposito, ho iniziato a sviluppare uno stile, che buonno o cattivo, ma vero e sincero, riflesso reale di ciò che vedevo con i miei occhi e sentivo nel mio cuore". Quasi sempre ambientava i suoi ritratti in un giardino. Lo fece anche con i personaggi più illustri, come Louis Confort Tiffany o la Regina diSpagna Vittoria Eugenia, moglie di Alfonso XIII. "Uno studio è una cosa artificaile, qualcosa di simile a un inganno. Non mi piace dipingere in studio, lo confesso. Lo detesto con tutta l'anima".
Quando ne giugno 1906 il gallerista parigino Gerges Petit inaugurò una grande personale con 497 opere di Sorolla, il successo di pubblico e di critica, come peraltro commericale, fu strepitoso. Henri Rochefort, politico e scrittore francese che pure detestava gli Impressionisti, fu colpito dai quadri di Sorolla e ne comprese gli elementi più originali: "E' nato un pittore magnifico. Purtroppo non in Francia. Non conosco pennello che contenga tanto sole. La pittura di questo artista e tutt'altro che impressionistica, eppure suscita un'incredibile impressione. Quanta sapienza nella composizione! Quanta verità nei movimenti delle figure! E quanta poesia nelle atmosfere! Sorolla ha negli occhi tutte le fiamme dell'Oriente e nella mano la sicurezza del disegno che è propria dei maestri più rigorosi".
Tre anni dopo, nel 1909, Sorolla registrò un nuovo trionfo, questa volta a New York. La mostra di 356 sue opere all'Hispanic Society of America provocò l'entusiasmo dei critici americani. In un mese fu presa d'assalto da 169.000 visitatori, e i quadri venduti furono 195. A Sorolla fu subito commissionato un ciclo di 14 dipinti monumentali, con le regioni della Spagna some soggetto. I quadri, alti mediamente quattro metri, avrebbero occupato, in lunghezza, quasi settanta metri della biblioteca dell'Hispanic Society. Ormai raggiunta la completa libertà espressiva, Sorolla si dedicò anima e corpo a queste tele per sette anni, fino al 1919. Tranne una, le realizzò tutte en plein air. (Articolo di Renato Diez tratto da Antiquariato n.371 di marzo 2012)
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