Un sorriso aperto, franco, schietto, senza mezze misure. La parlata rotonda, calda della bassa bolognese. Giannino Baruzzi si porta addosso trenta anni di lavoro in una scuola che non è più quella di una volta. Maestro elementare a Longara, un piccolo comune della provincia. trenta anni di bambini mai fermi, scarruffati e inquieti, fuori dalle persuasioni occulte della città, autentici nella loro sprizzante vitalità. Il maestro di campagna li ricorda tutti, ma senza nostalgia da libro "Cuore". Con quel vocione da baritono mancato, Giannino è stato una stella polare per il paese e per la gente. A volte confessore, a volte burbero benefico è rimasto nel cuore, nella memoria di quei bambini di allora che adesso lo inseguono nelle sale di pittura. Silenzioso, schivo, appartato, Baruzzi da maestro di campagna è diventato un maestro d'arte.
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"Fiume Reno a Longara" 2002 cm.30x40 - olio su compensato |
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"Casa rustica" 2004 - cm.20,5x13,5 - olio su compensato | | | |
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"Rosa appassita" 2004 - cm.37,5x31,50 - olio su c. |
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"Paese invernale" 1992 - cm.40x30 - olio su c. |
Una sua mostra alla "Castiglione Arte" di Bologna lo ha confermato come uno degli artisti bolognesi più significativi di quel neonaturalismo lirico, rivisatazione contemporanea della grande rivoluzione impressionistica. Baruzzi ha macinato pittura da quando entrò nella sua prima aula chiassosa e umorale di bambini schiamazzanti. Da allora il pennello si è affinato e impreziosito senza orpelli nè facili scopiazzature come spesso accade nella grande tradizione figurativa.
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"Venezia. Chiesa della Salute" 1999 cm.30x25 |
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"Carline e melanzane" 1996 - cm.35x25 - olio su c. |
Poeta delle piccole cose, di quella campagna che gli è restata dentro e con la quale non è mai riuscito a tagliare il saldo cordone ombellicale, Baruzzi ha filtrato nel tempo un sapiente colorismo post macchiaiolo per dilatarlo padano ed inconfondibile alla sua terra, alle sue radici.
Ci sono certe porte di vecchi casolari, angoli e piazze di paese, balconi e finsetre sospesi sui meriggi estivi, nature morte vivissime nelle cromie e nella composizione che situano Baruzzi tra i pittori a tutto tondo, senza mezzi termini. Una naturale semplicità combinata con l'autenticità del suo fare arte identifica quella che la critica più avveduta ha definita "la realtà della finzione". Realtà perchè il maturo maestro di campagna racconta un quotidiano ed una natura che esitano ma anche alla luce ci una civiltà di cemento e di macchine, delle cortine inquinanti e acide di un industrialismo senza freni appaiono improbabili, ricordi finti da vecchio album di ingiallite fotografie.
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"Vecchia porta" 1996 - cm.35x20 |
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"Paese sotto la neve" 1998 - cm.30x27 olio su cartone |
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"Neve in collina" 2003 - cm.54x39 |
E' così che Baruzzi dipinge la nostra urgenza di vivere ed, insieme, la nostra necessaria ed ineludibile urgenza di scappare dal grigio compatto ed oppressivo delle città per un rifugio, una nicchia ecologica possibile a pochi passi da casa. Il colore, le cose, i paesaggi di Giannino esistono, vivono al termine di quei percorsi dell'evasione, sono il polmone che ci consente di sopravvivere.
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"Neve in cortile" 1995 |
Da quella, ormai lontana, scuola di Longara l'artista ha fatto molte strada, ha vissuto gli anni duri di tanti passaggi epocali. Ma dentro sono restati i languori e le emozioni, le sincerità e le popolari sagomature del ricordo e del sogno. Anche questa è una vera finzione. Baruzzi non ha, infatti, bisogno del "plein air": gli ondeggianti campi di grano, le architetture contadine, valli e colline nascono nel silenzio dello studio a comporsi ed a comporre una metafisica dell'immaginato a cui corrisponde la realtà dell'immaginabile. In parole povere: Baruzzi dipinge sollecitazioni, reminescenze, brandelli visivi di memoria tirandoli fuori dal cuore e dalla sua storia. Forse non esistono più ma l'artista, il pittore esiste in loro.
E consente a noi di viverci dentro, nell'abbandonarsi dolce tra realtà e finzione.
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"Giornata grigia" 1999 - cm.46x30 - olio su c. |
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"Venezia. Palazzo Ducale" 1996 |
Artista bolgnese di grande talento. Ne è una palese conferma la mostra personale che gli ha dedicato la Galleria Giordani di Bologna, spazio notoriamente riservato ai Maestri bolognesi.
Lo spazio dove si muove Baruzzi si abbraccia con lo sguardo rivolto alle piccole cose nonché agli aspetti di una natura che egli osserva con immutabile stupore. Colori sulla tela, allusioni temporali, visioni tanto ricche quanto inafferrabili se non contrappuntate dal ricordo. Forse si rivede tra le cose di sempre, forse pensa di lungo un’isola felice dove tutto sembra sul punto di restituirgli una favola perduta. La sua pittura è il frutto di osservazioni che portano a fare dello sguardo il mezzo per riallacciarsi all’indimenticato capitolo del tempo andato, quello di una fanciullezza trascorsa in un villaggio tra i campi. Pervasa da una vena costante di intimismo, la sua pittura è la partecipe rivisitazione di un mondo a volte idealizzato, di rado reso in senso veristico, semmai semplificato da una sorta di rivisitazione mnemonica che porta a paesaggi costruiti per macchie ora vaporose, ora dense di umori naturali. Qualcosa, insomma, che nasce dalla sua realtà, dalla sua terra e dunque dalla sensazione che la natura gli dà in un ambito dove la consistenza formale è elusa a favore di sommessa descrizione delle cose. (Franco Basile)
Note critiche
La sua stella polare è la natura compresa tra incredibili e suggestive definizioni di orizzonti ed elementi di paesaggio ma anche ristretta, concentrata, asciugata nella natura morta che costruisce con squisito equilibrio di colori, volumi e suggestioni. Natura tutta interiore, intesa come percorso mentale ed emozionale insieme, come elaborazione sistematica, come combinazione o costruzione. Baruzzi, infatti, non ha bisogno del plein air: l’artista dipinge sollecitazioni, reminiscenze, brandelli visivi di memoria tirandoli fuori dal cuore e dalla sua storia. Forse non esistono più ma l’artista, il pittore, esiste in loro. E consente a noi di viverci dentro in un abbandono dolce tra realtà e finzione. VALERIO GRIMALDI
Conoscete la nostalgia? Sapete il gusto di ricordare, ricreare anzi, nella mente ( o nel cuore ?) con amore e rimpianto care cose passate (o che al passato appartengono anche se ancora nel presente) paesaggi, angoli, campagne, momenti perduti nella dimensione del sentimento, e là fermati per sempre? Giannino Baruzzi questi momenti li evoca in colori e atmosfera nelle proprie opere: Evoca cose vere, concrete, che siano o non siano più….. GIUSEPPE NOBILI
Chi si aspetta concessioni di moda o di tendenza non cerchi questo pittore desueto ed appartato che vive la pittura in una morandiana metodicità di esercizio quotidiano, che mastica cultura e tradizione, che insegue e cattura il finito del quadro (ma per lui nessun quadro è mai finito) segnando e cancellando la tela o la tavola in uno scontro permanente tra rappresentante e rappresentato. Modesto e restio ad accettare elogi ed incensamenti, Baruzzi non si vede più di tanto, selezionando con cura amici,collezionisti e mercato. “ALLA RIBALTA” ottobre 1998
BARUZZI : UN MAESTRO DELLA TRADIZIONE Con la sua scomparsa la scuola bolognese perde una pagina importante del suo primo novecento |
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Se ne e’ andato in silenzio.Come in silenzio ha sempre vissuto.Con una naturale ritrosia all’apparire.Nel ritiro del suo studio,nel mestiere nobile del pittore Giannino Baruzzi ha praticato una morandiana solitudine dell’artista senza vacanze mondane o incursioni salottiere .Dipingere e studiare.Studiare e dipingere.Ogni giorno .Con una maniacale dipendenza.Come a timbrare il cartellino di un lavoro quotidiano.Senza sosta,senza interruzioni,senza festività comandate.Una magnifica ossessione che moriva con il finire della luce.Per ritrovarsi ai primi chiarori del giorno dopo. La pittura come fantasia,come gioco,come epifania dei sentimenti.come abbecedario del suo mondo.Il quadro come storia mai finita.Come memoria da aggiornare.Come traccia del tempo vissuto. Una vita lunga,semplice e popolare.Passata tra inverni padani fatti di neve pesante e grigi di nebbia,grano estivo infuocato dal papavero,autunni ambragiti o svenati di gialli intensi.Gli stessi colori dei suoi quadri.Nella calma claustrale della sua stanza di pittura Giannino Baruzzi ha dipinto l’emozione delle cose,del piccolo quotidiano fatto di particolari che nascono nel ricordo e nell’abbandono: fiori,cose,schegge di paesaggio,orizzonti di nubi che l’artista componeva in uno sgomitolarsi dolce tra sogno e realtà e con la poesia come ultimo confine.Le opere di quel tempo divennero scheda critica di un mio saggio su una natura “altra” come nuovo oggetto naturale,una natura tutta sfacciatamente interiore,intesa come percorso mentale ed emozionale,come combinazione o come costruzione secondo le opzioni che l’artista le voleva affidare.Natura tanto più vera quanto più improbabile - annotavo in quelle pagine - ricomposta nella sua essenza iconografica,recuperata nella memoria,reale nella sua finzione : metafisica dell’immaginato come realtà dell’immaginabile. Due artisti erano i protagonisti di un “notes” del maggio 2008 “I Maestri della tradizione,Generazione 1910-1920” : Norma Mascellani e Giannino Baruzzi.Gli ultimi grandi.E di Baruzzi scrivevo :”…pur comprendendo cio’ che muove l’artista del nostro tempo e il suo irrisolto desiderio di nuova immagine e nuova rappresentazione,Baruzzi continua a vivere il suo piccolo mondo dello studio , non ha bisogno del plein air: l’artista dipinge sollecitazioni, reminiscenze, brandelli visivi di memoria tirandoli fuori dal cuore e dalla sua storia. Forse non esistono più ma l’artista, il pittore esiste in loro. E consente a noi di viverci dentro in un abbandono dolce tra realtà e finzione. Chi si aspetta concessioni di moda o di tendenza non cerchi questo maestro,nella vita e nell’arte, desueto ed appartato che vive la pittura in una metodicità di esercizio quotidiano, che mastica cultura e tradizione,che insegue e cattura il finito del quadro,ma per lui nessun quadro e’ mai finito.La sua stella polare è la natura compresa tra incredibili e suggestive definizioni di orizzonti di neve ed elementi di luce e di paesaggio ma anche ristretta, concentrata, asciugata nella composizione e nella natura morta che costruisce senza regole ma con squisito equilibrio di colori, volumi e suggestioni”. Questo lo voglio nel mio prossimo catalogo mi disse.Ed alla inaugurazione della mostra retrospettiva di Ugo Guidi della PivArte, solo pochi giorni fa,scorrendo il volume curato da Franco Basile ,ribadì “ lo voglio così,ci vediamo in studio, comincia a scrivere”.Ma in pochi giorni un destino infame l’ha colpito al cuore e se lo è portato via.E adesso?Il tempo passa e si dimentica.Ma gli artisti,quelli veri, lasciano radici e un mondo di opere e di memoria.In Baruzzi l’incanto del pittore è lievitato con il dolce asprigno dell’uomo,con la sua cocciuta vocazione di restare solo,nascosto,come il vecchio maestro di campagna degli anni giovanili. Già da allora studiava e leggeva di Morandi,Bertelli,Corsi,Romagnoli,Protti,dei Gheduzzi che aveva ad un tiro di schioppo prima dell’esodo a Torino.Dipingeva già sull’onda del suo grande amore per i macchiaioli e di quel nuovo naturalismo che rompeva le regole e le frustrazioni delle Accademie.Puro autodidatta con una incredibile vocazione ad un dipingere nervoso,quasi automatico,stendeva colori morbidi e carnali sui cartoni trovati per caso.La vita della Longara,una leopardiana vita di villaggio fatta di cose minime e di radicata cultura popolare,era il suo teatro da fermare sulla tavola in piccole immagini collassate tra realtà e poesia,tra nostalgia ed il fluire delle piccole cose che diventavano mondo vissuto ed irrinunciabile. Il trasferimento nella villetta di Zola Predosa significò l’apertura dello studio di via Canonica.Quel piccolo appartamento in una casa anonima e popolare divenne presto una polarità per gli artisti bolognesi.Si riempì di quadri che lasciavano il quotidiano di paese per abbracciare la città.In quella stanza sono nate magiche visioni di una S.Luca evocata ed esorcizzata nel ciclo delle stagioni,paesaggi recuperati nella memoria di pellegrinaggi domestici nelle vallate del Reno,nelle campagne e nei casolari dell’infanzia,orizzonti di paese accerchiati dai gialli trionfi del grano,cieli corruschi o segnati da luminosità improvvise.Per poi finire nei grigi pensosi,abbrividiti di nebbia e di acque fredde e muschiose di una Venezia fantastica e lagunare ,improvvisa e lievitante come nel Casanova felliniano. I tempi ultimi del suo instancabile “mestiere” di artista vivono l’esaltante succedersi delle nature morte.Fiori,frutti,trovarobato minuto di vasi,ceramiche,vetri come paesaggi dell’anima,come solitudini di infinito nei toni caldi e pastosi di un Giovanni Romagnoli : incontri e scontri tonali dove il colore illividisce,irrancisce,un colore complice e malinconico fatto di luce e di sospensioni poetiche che dipana affetti, reperti,abbandoni,vetrine di cronaca famigliare. Non sarà il buio della morte a farci dimenticare Giannino Baruzzi.Tornerà presto la luce delle sue opere.Chi gli ha voluto bene farà sì che siano loro a parlare,a ricordarlo,ad esserne memoria.Ogni giorno comincia il futuro.Oggi siamo un po’ più poveri.Ma é sempre domani. (04/11/2009).
(Valerio Grimaldi) |
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